Miserando Eccidio
di Castelnovo

operato

Dalla barbarie Austriaca

descritto
Dai pochi abitanti superstiti
del borgo stesso.
1848

L' armata tedesca, cacciata da Milano, perseguitata dall'insurrezione Lombarda, si riparava oltre il Mincio per prendere, come diceva, le munizioni a Verona indi ritornare a Milano, e passare. in Piemonte. — Ma intanto l'armata piemontese, dato dentro fortemente al ponte di Goito, s'impadroniva di quel forte passo del Mincio, e con un altro fatto non meno importante occupava Ponti e Monzambano.

In questo modo la linea del Mincio era assicurata, benchè restassero ai Tedeschi le due fortezze di Peschiera e Mantova poste ai capi di esso fiume. I corpi franchi , che quasi ausiliari operano su le ali dell'armata, intercettando le comunicazioni, approdando a Lazise, si impadronirono con un colpo di mano della polveriera sotto Peschiera, e verso sera del lunedì 11 aprile occuparono Castelnovo per tagliare appunto le comunicazioni tra Peschiera e Verona. Distando questo paese da Peschiera tre sole miglia, si diedero, appena giunti, a tagliar ponti e a barricare le vie che menano alla fortezza, onde premunirsi contro una sortita. — Barricarono pure, ma meno fortemente, la via che mette a Verona, essendo questa città lontana oltre a dodici miglia, spendendo in questi lavori la notte del lunedì e la susseguente mattina.

Buona parte di quei valorosi stava riposando, allorchè le sentinelle collocate verso Verona gridarono all' armi. Tutti corsero a quella volta: era una colonna di oltre tre mila Tedeschi con sei pezzi d' artiglieria che s'avanzava. — Apersero i volontari un ben sostenuto fuoco, facendosi schermo dal cannone con alberi e sassi, in modo che trattennero quella colonna per oltre due ore; ma finalmente, prevalendo i cannoni, e sopraffatti dal numero, dovettero indietreggiare. Si appoggiarono per poco alle case, ma dovettero interamente sbandarsi, lasciando i Tedeschi padroni del paese. La maggior parte della popolazione, durante il combattimento, si riparò sui colli e campagne circostanti, ed una piccola porzione si nascose ne' più segreti recessi delle case loro.

I nemici, certi che tutti i crociati eransi allontanati, si diedero a loro bell' agio a saccheggiare il deserto paese, ad arder le case, uccidere, torturare, arder vivi gli abitanti. E furon commesse tante nefandità, che forse la specie umana non si macchiò giammai di maggiori. — E pur troppo sì abbrutiti e feroci sicari appartengono a più popoli, all'Austria incivilitrice, a Boemi che vantano una redenta nazionalità, al Tirolo, all' Ungheria, e pur troppo, bisogna confessarlo, a te, infelice Italia! Ma qualunque popolo nel crogiuolo infernale del governo austriaco diveniva snaturato parricida. — Tanti delitti e tanti olocausti, che Dio permise in questo sventurato villaggio, deh ! non siano inutilmente sopportati. Ora ne riporterò alcuni uditi dagli stessi testimoni, e verificati. L' Arciprete del villaggio si era riparato nella chiesa, ove Illolte donne e fanciulli piangenti chiedevano aiuto e consiglio.

Le fiamme cominciavano a distruggere la parte del paese verso Verona, e le strida di chi era arso o tormentato salivano disperale al cielo. Il cannone tuonava ancora contro la torre, ove una piccola mano di crociati suonava a stormo e additava a fuggenti la via per recarsi al lago. In questo frattempo l'Arciprete, recandosi alla contigua sua casa, sentì chiamar soccorso sotto la porta: era un crociato ferito, che inseguito cercava salvarsi. All'aprire della porta due palle tedesche gli sfiorarono il corpo: il crociato, forse nuovamente ferito, si allontanò.

L' Arciprete, richiusa e puntellata la porta, ritorna alla chiesa e induce le donne a salvarsi. Quando i Tedeschi, sfondala una porta minore, fanno fuoco in massa su quelle infelici; una fu côlta da più palle e restò sul luogo, quattro o cinque ebbero profonde ferite, ma la maggior parte protette da Dio si salvarono illese da tanto eccidio. Restati soli in chiesa, questi sicari d'un devotissimo imperadore, saccheggiarono e vituperarono le imagini della Madonna, sfondarono cogli archibugi le portelle del sacrario, furarono i vasi sacri sperdendone le ostie benedette, ed unsersi coi santissimi olj i capegli. Luigi Saburo, uno de' feriti, fu testimonio delle cose sopra dette.

Nella casa attigua alla chiesa si erano appiattati i due coniugi Sambenini con una vezzosa loro figliuoletta di cinque in sei anni. Invasa la casa, e trovati dai feroci soldati, furono trascinati avanti la porta con porzione del loro letto: ivi quelle belve, dopo aver commesse nefandità inudite sopra quella donna infelice, scaricarono loro addosso i fucili ferendoli mortalmente; ma non così tosto perdettero la vita, onde quegli efferati sicari, dato fuoco al letto, veli tennero lì colle baionette confitti sin che arsero vivi. — La povera innocente pare fosse fuggita sulle prime da que' feroci cannibali, ma trovatala nel saccheggiare la casa fu, piccola e bella com' era, trascinata sopra i coppi de' morti genitori ed arsa anch'ella viva. Le sue strida infantili furono intese dopo quelle de' genitori, e i loro cor-pi, sformati dalle fiamme e dalle ferite, si rinvennero dopo unitamente alla bambina che aveva squarcialo il ventre. — Queste strida sì acute e disperate, e i sogghigni tedeschi furono sentiti da Luigi Pizighelli, da sua madre, da sua moglie, da una bambina e da due servi, che fuggendo dalla casa Angelini si erano appiattati sotto una sabina nel brolo dello stesso, e assai prossimo al luogo ove spirarono quegli infelici. Altri Tedeschi correvano il brolo, e Dio non permise che quelle sei persone sotto un così piccolo albero venissero scoperte. Esse restarono ivi appiattale oltre a ventiquattr' ore testimoni della distruzione del proprio paese.

La mattina del martedì un crociato ferito, che aveva passala la notte in un fosso dello stesso brolo, si riparò esso pure sotto quella benefica pianta, ma parendo impossibile al Pizighelli di non essere scoperto, ritiratosi in altra parte del brolo con la ragazzina, venne scoperto da due soldati che lo spogliarono dei denari : però gli venne donata la vita da un d'essi meno feroce, che gli disse di fuggire. Scavalcato il muro di cinta, gli fu fatto fuoco addosso da vari soldati; ma incolume, attraversando una casa in fiamme, si salvò colla sua ragazzina.

Nella casa del farmacista Cavattoni pure vicina alla chiesa ed appartata dal paese, si erano riuniti, oltre al vecchio farmacista, due suoi figli, la moglie, una servente, altri delle vicine case, tra cui il marchese Filippo Gianflippi , in tutto venti persone, nove donne, due bimbi e nove uomini, tre de' quali vicini ai 70 anni. — Durante il cannoneggiare consultavano tra loro se dovevan fuggire. Il marchese ed il farmacista sostenevano di restare, allegando il grave pericolo che incorrerebbero nel voler uscire. Mentre le strida dei Crema si facevano più strazianti, replicati colpi scassinarono la loro porta. Il vecchio aperse, si presentò al limitare un capitano che venne dal marchese e dal farmacista riconosciuto per loro ospite. Esso ricambiò con aspra favella i loro saluti, gli assicurò sogghignando ed intimò loro di uscire. Sedici, che vennero fuori coi due ragazzini, furon fatti sedere lungo un rialzo di terreno vicino alla casa fra due grosse bande di soldati.

Il capitano li numerò, scambiò alcune parole co’ suoi e, fattosi di fronte al vecchio farmacista, tratta una pistola, gli trapassò il petto. I soldati scaricarono tosto e tutti le loro armi a due o tre passi di distanza su que’ poveri infelici, che restaron mortalmente feriti da più palle. Pietro Sambenini, che mi dà questi particolari, preso da una palla nella schiena, stramazzò aggruppato a terra, simulando d'esser morto. Il giovane Crema e la sua sposa, feriti forse mortalmente, riavutisi dal primo terrore, chiedevano supplicando la vita, ma invece furono finiti a colpi di calcio sulla testa. La bambina, nipote del Sambenini, che, trafitta da parte a parte, strillando si aggrappava alla spirante madre ed all' avo, fu da que' barbari strappata, tormentata e poi gettata addosso al Sambenini, che sempre immobile salvò la vita fingendo esser morto.

Una giovane, ferita leggermente, fu dallo stesso capitano coperta col cadavere d' una delle donne assassinate, col l'ordine di non muoverla. Più tardi la fece condurre da un caporale alla sua tenda nel campo. Varie altre a prezzo dell'onore scontarono il dono della bellezza; ed una d'esse fu trovala nel campo tutta mutilala, non avendo d' intatto che il leggiadro volto e i bellissimi biondi capelli. Oh se a noi , per scontare le colpe de' nostri feroci antenati, bastarono appena quindici e più secoli d' abbominazione e sventure, paventate, o sicari efferati, che per voi pure è suonata l'ora della punizione. Carlo Avanzi aveva prestata l' opera sua ai corpi franchi; ritiratisi questi , egli corse alla casa per salvare i piccoli suoi figli. Essi si erano appiattati nella cantina. Di là intese nella sua corte orrende minaccie, un lungo trar di moschetti ed acute strida. 0tto o dieci donne con vari ragazzi erano state scoperte da soldati tedeschi appiattate in una stalla. Sfondata una finestra, fecero loro fuoco addosso; due cavalli co' loro corpi protessero quelle meschine. Tulle fuggirono nella corte dell'Avanzi. Due di esse mortalmente ferite si trascinavano carponi per seguitarle. L' Avanzi esce per dar loro aiuto, e, sotto una grandine di palle, le trae nella cantina sopra un letto statovi prima trasportato. Nella confusione chiude a chiave la porta e fugge a traverso di molti cadaveri , mentre tutte Ie case ardevano. Tre giorni dopo ritorna al paese, trova la sua casa in parte abbruciata, rotta la porta della cantina e le due donne, una la Canestri, freddo cadavere, e la Maria Taconi agonizzante. Essa raccontò che da due giorni la sua compagna era morta fra spasimi atroci ed arsa dalla sete, che vari ussari, rotta la porta, si avventarono al letto chiedendo danari, e che ottenne la vita mostrando loro la morta compagna e la grave sua ferita.

Questa infelice è ancor in vita e sperasi sopravviva a tanti tormenti, Simili e forse maggiori crudeltà furono commesse nella distruzione di Castelnovo. Di rimpetto alla porta del farmacista Sommacampagna furon trovati tre crociati ed un giovinetto, ciascuno con una gamba agli altri strettamente legata e tutti coperti di sconce ferite. Angela Santi vide la sua casa, posta a mezzo miglio dal paese, occupata da dieci crociati. Poco dopo un drappello di cavalleria ungarese la circondò, ne trasse fuori ad uno ad uno i dieci rifuggiati e gli sgozzò, poi il marito, la madre e due altri di casa. Ella campò la vita, perchè al primo apparire degli ussari si appiattò in oscuro ripostiglio. Dato fuoco alla casa, que' poveri morienti furon tratti ad arder vivi, ed ella, a quell' estremo strazio, sottrasse il moriente marito ritraendolo nel suo nascondiglio.

I corpi delle varie truppe non procedevano tutti nell'imposta distruzione del paese coll'eguale ferocia. Le prime ad ardere furono le case verso Verona. In un luogo terreno d'una di quelle, fuggendo di sotto ai muri di cinta dalle palle de' cannoni , si riparavano otto persone. Un sergente del reggimento Haugowitz, entrato dalla corte, riconobbe il padrone della casa Luigi Micheloni, fattore della posta, e gl' intimò d' aprire la porta. Mentre compieva il pericoloso ufficio, più palle forarono l'imposta. Visti da que' di fuori, i militari di dentro cessaron dal fuoco, ed il sergente ordinò alle otto persone di fuggire tra i campi, perchè altrimenti sarebbero stati uccisi ed arse le case. Incalzati e perseguitati, si ripararono tra siepi e cinte; uno d' essi, il dottor Alessaodro Frinzi, d'oltre a 75 anni, impotente a sostenersi da sè, traversò tra la moschetteria il piazzale del paese; giunto ad un prato fu violentemente atterrato da un croato, che, tratta la spada, gli voleva recidere il capo. Nell'atto di curvarsi, questi perdette molto danaro, e mentre il barbaro soldato lo raccoglieva, il povero vecchio, avanzandosi carponi, cadde in un fosso ove rimase inosservato.

Una donna ed un bimbo furono da due soldati scortati fuori del paese e salvi. Una vecchia, Lucia Pizzighella, che atterrita comparve in mezzo dei furibondi soldati, fu sforzata a bere alfa loro salute e lasciata illesa. Quattordici crociati, quindici terrieri ed il vecchio curato del paese, fatti salire un vicino monte, il mercoledì a sera, chiusi tra una truppa tedesca, a calci e pugni dovettero avanzare verso Verona. Il vecchio prete do- vette indossar la patrona , e tra continui improperj giunti a Verona, traversarono gran parte della città , poi furono rinchiusi in uno stanzone terreno del Castel-Vecchio. Là stettero altre ventiquattr'ore senza cibo di sorta. Il povero prete notte e giorno veniva tratto fuori con voci beffarde, ed impiegato nei più vili servigi della caserma. Egli oltrepassava i sessantacinque anni, da tre giorni non prendeva cibo di sorta; stendeva costretto la tremola mano a non usati uffici; era per ludibrio vestito d'abiti militari, e l'ufficialità superiore applaudiva ghignando a quel supplizio.

Tutta la truppa abbandonò Castelnovo dopo ventiquattr'ore di occupazione. Alla loro invasione questo borgo era florido , popolato d' oltre a 1000 anime. Al loro sgombramento, di duecentocinquanta case non rimaser coperte che sole trentassette circa, e queste sfuggite per la loro piccolezza all' attenzione di quell' orda feroce, e in parte anch' esse distrutte. Cosi tutte le rimanenti case, le masserizie, i grani, il vino ed ogni altra cosa di cui questo paese era fornito, tutto letteralmente venne o distrutto dall' incendio o rubato da barbari. La popolazione, sottraendosi colla fuga, non salvò che il solo vestito che indossava, Giuseppe Palazieri, medico d' un borgo vicino, raccoglieva quarantatrè cadaveri de' crociati e trentatrè del paese, e li consumava col fuoco. Io raccolsi quelle ceneri de' martiri miei confratelli quale olocausto della patria mia rendenta, per indi inalzare col prodotto di questa mia lugubre narrazione una lapide a loro perenne memoria e a monumento d' ira e maledizione al dominio infernale dell'abbominevole tedesco.

Avrei potuto far conoscere i nomi di vari ufficiali e soldati che sì indegnamente cooperarono allo sterminio di Castelnovo, ma bramo che tutta l'esecrazione sia rivolta, non già contro i vili stromenti di queste nequizie, ma contro l' infame governo che ponderatamente le commetteva. E perchè non si credesse un trascorso delle truppe, il cauto maresciallo dell'Austria, ne' suoi bandi da Verona, lodava il generale e le truppe per l'eccidio di questo misero borgo, e prometteva egual trattamento a que’ paesi che avessero raccolto armati Italiani. Oh potessero questi fatti far conoscere agli studenti viennesi ed ai volontari tirolesi per qual governo, per quai principi essi abbandonano la patria, e corrono all' armi!

E potesse questo sdegno concitar maggiormente le nostre Provincie a stringersi tutte in un sol patto e schiantare per sempre dall'Italia questa barbara dominazione.