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28
January
2025

Costruttori di Bene Comune

La responsabilità della cittadinanza attiva è per tutti

Francesco Belletti
Francesco Belletti
Redazione CdC
Redazione CdC

Ha senso oggi impegnarsi nella società e nella politica?

I processi sociali oggi sembrano rendere irrilevante l’azione dei singoli: davanti alla globalizzazione dell’economia, alle grandi sfide macro-economiche, alle ricorrenti crisi internazionali (pandemia, guerra, allarme climatico, povertà diffusa di ampie parti del pianeta), la tentazione di sentirsi intrappolati in un processo più grande di noi è forte.

Così perdiamo l’unica possibilità che abbiamo per restituire senso e direzione a questo momento storico: quello di reagire, di costruire una propria strategia di azione e reazione, per cercare di cambiare, per quanto possiamo, il piccolo pezzo di mondo che ci è stato affidato. Solo così ciascuno di noi può diventare protagonista della propria vita e della storia, e non limitarsi ad essere (e a pensarsi) vittima passiva di fenomeni troppo più grandi di lui. Ovviamente, poi, se questa azione responsabile del singolo diventa aggregazione e movimento collettivo, allora la realtà rischia di cambiare davvero!

BENE COMUNE: è sulla bocca di tutti, ma?

La riflessione sul bene comune è ampia e complessa, ma forse conviene limitarci a ricordare che il protagonismo sociale di un soggetto che vuole essere attivo, di cui abbiamo detto prima, non genera automaticamente “bene per tutti”: potrebbe essere egoistico, autoreferenziale, interessato solo al proprio bene individuale, è non alla crescita di tutti.

Ecco, il bene comune per me è quel criterio, quell’obiettivo che spinge le persone a muoversi non solo per sé, ma anche per il bene di altri – o meglio, degli altri, vicini e lontani. Il bene comune cioè esige una logica “win-win”: devo essere convinto che sia possibile promuovere il mio bene INSIEME a quello degli altri, e non “al posto” di quello degli altri. Il bene generato dalla mia azione diventa così accessibile a me e al resto della collettività, e lascia frutti e relazioni permanenti. Se invece credo che il mio bene sia ottenibile solo diminuendo quello degli altri, costruirò una generazione di persone “ostili”, solo in concorrenza, e mai in collaborazione. Ed è una vita molto peggiore.

Ma il bene comune è custodito solo dalla politica?

In effetti nelle nostre società europee si chiede soprattutto alla politica di promuovere, generare e custodire il bene comune. In società più tradizionali (magari in una comunità di villaggio in ambito rurale) erano le stesse relazioni sociali a dover custodire e generare il bene comune, con legami di solidarietà e di cooperazione pre-esistenti al patto sociale definito dalla politica. In altre parole, ogni persona (o famiglia) generava il bene di tutto.

È un po’ quello che ricorda il famoso proverbio africano “per educare un bambino serve un intero villaggio”: il bene comune della vita di un nuovo membro della collettività doveva necessariamente essere custodito da tutti – o meglio, da ognuno. Oggi, in società complesse, la mediazione del sistema politico-pubblico è irrinunciabile; ma non può sostituire la responsabilità della cittadinanza attiva.

Francesco Belletti (al centro) ospite e relatore in occasione del 20° di Casa dei Cittadini

Possono essere rilevanti i “piccoli” Comuni in questa società globalizzata?

All’interno di questo ruolo forte della pubblica amministrazione rispetto al bene comune, i piccoli Comuni hanno in genere la grande opportunità – quasi un vantaggio competitivo, rispetto alle grandi città e ai sistemi nazionali - di essere in presa diretta con la realtà del territorio e con la vita quotidiana dei cittadini. Il che significa, anche, che l’assessore puoi incontrarlo per strada, al bar, e chiedergli direttamente qualcosa, eventualità che a Milano o Roma semplicemente non esiste. Insomma, il Comune piccolo ha il grande vantaggio delle relazioni corte, più calde, e può più facilmente investire su un “senso di comunità”.

Certo, nei Comuni piccoli molti problemi sono ben al di là della capacità di risposta della singola amministrazione comunale (basti pensare ai trasporti o alla tutela dell’ambiente), e quindi serve anche una sapiente strategia di dialogo con il territorio (i Comuni vicini) e con gli altri livelli della pubblica amministrazione (distretti, province, regione, stato centrale).

Il Bene comune richiama alcune parole chiave del dibattito contemporaneo: sussidiarietà, solidarietà, responsabilità. Quanto sono importanti?

Potremmo collegare questi concetti con questo percorso logico. In primo luogo per generare bene comune serve una responsabilità diffusa, che riguarda ogni cittadino. Per rendere questa responsabilità efficace servono istituzioni sussidiarie, che restituiscano cioè al cittadino spazi di autonomia e di titolarità.

Questa “libertà di azione responsabile” deve però ispirarsi a criteri solidaristici, per non lasciare indietro nessuno, soprattutto chi, per i più svariati motivi, non è in condizione di affrontare con successo le sfide della vita. Solo così si genera bene comune – cioè per tutti.

Di quale famiglia necessità la nostra società per costruire più bene comune?

Parlare di cittadinanza attiva o di responsabilità dei cittadini significa anche non dimenticare che la vita delle persone si costruisce dentro le relazioni familiari, non in progetti di singoli individui, privi di legami. Le scelte economiche di un lavoratore o di una lavoratrice saranno ben diverse in presenza di figli, o se si vive da soli. Così come l’orientamento al risparmio cambia significativamente, se ci sono generazioni future ai cui consegnare qualche opportunità in più per gli anni a venire, anche sacrificando il proprio livello di consumo presente.

Foto di famiglia realizzata da Simone Durante

Inoltre, la famiglia vive di una promessa di impegno reciproco di cura, che genera una “microfibra di solidarietà e di relazioni sociali” che nessuna società o nessun intervento statale potrebbe mai sostituire – né in quantità, né tantomeno in qualità. Serve però una famiglia aperta agli altri, capace di generare relazioni solidali e impegno sociale.

E la famiglia di oggi quanto corrisponde a questa dinamica?

Gli ultimi decenni sono stati davvero complicati per la famiglia in Italia al punto che il rapporto CISF 2020 parlava di una “società post-familiare”, di un contesto cioè in cui le persone e la società pensano di poter fare a meno della famiglia. Le persone cercano la propria felicità ed autorealizzazione nell’assenza di legami e di impegni nel tempo, per avere la libertà di scegliere in ogni momento una possibile diversa opzione di vita.

Così, dalla famiglia come “roccia solida” si è passati ai legami liquidi, fino a rischiare l’evaporazione delle relazioni familiari. Sempre nel 2020 parlavamo di family global warming, una sorta di riscaldamento globale della famiglia che rischia di renderla volatile come un gas.

Eppure ancora milioni di famiglie resistono, anche nel nostro Paese. A mio parere, quindi, la sfida di una famiglia davvero generativa di bene comune si può ancora vincere.

Locandina della mostra itinerante WE, HOME, realizzata dal CISF in occasione del proprio 50°

Eppure il racconto pubblico sulla famiglia non appare così ottimista: da dove viene invece questa possibilità di una famiglia “generativa”?

Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: mi baso su 50 anni di storia del Cisf (1974- 2024), in cui abbiamo analizzato, studiato, incontrato la famiglia nella società italiana, e sempre abbiamo incontrato un mondo ricco di speranza, di generatività, di impegno verso la vita e verso gli altri.

Così, per spiegarmi, potremmo commentare i dati sulla natalità in Italia non solo dicendo che nel 2023 sono nati 10.000 bambini in meno rispetto al 2022 (che è comunque vero e drammatico), ma anche ricordando che comunque, nel 2023, oltre 373mila coppie di giovani uomini e donne nel nostro Paese hanno avuto il coraggio di mettere al mondo un figlio, testimoniando una fiducia nel futuro che diventa anche una richiesta forte al contesto sociale, all’economia, e alla politica. Perché anche le nuove generazioni sono parte integrante del bene comune del nostro Paese.

28
January
2025

Costruttori di Bene Comune

La responsabilità della cittadinanza attiva è per tutti

Francesco Belletti
Francesco Belletti
Redazione CdC
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Ha senso oggi impegnarsi nella società e nella politica?

I processi sociali oggi sembrano rendere irrilevante l’azione dei singoli: davanti alla globalizzazione dell’economia, alle grandi sfide macro-economiche, alle ricorrenti crisi internazionali (pandemia, guerra, allarme climatico, povertà diffusa di ampie parti del pianeta), la tentazione di sentirsi intrappolati in un processo più grande di noi è forte.

Così perdiamo l’unica possibilità che abbiamo per restituire senso e direzione a questo momento storico: quello di reagire, di costruire una propria strategia di azione e reazione, per cercare di cambiare, per quanto possiamo, il piccolo pezzo di mondo che ci è stato affidato. Solo così ciascuno di noi può diventare protagonista della propria vita e della storia, e non limitarsi ad essere (e a pensarsi) vittima passiva di fenomeni troppo più grandi di lui. Ovviamente, poi, se questa azione responsabile del singolo diventa aggregazione e movimento collettivo, allora la realtà rischia di cambiare davvero!

BENE COMUNE: è sulla bocca di tutti, ma?

La riflessione sul bene comune è ampia e complessa, ma forse conviene limitarci a ricordare che il protagonismo sociale di un soggetto che vuole essere attivo, di cui abbiamo detto prima, non genera automaticamente “bene per tutti”: potrebbe essere egoistico, autoreferenziale, interessato solo al proprio bene individuale, è non alla crescita di tutti.

Ecco, il bene comune per me è quel criterio, quell’obiettivo che spinge le persone a muoversi non solo per sé, ma anche per il bene di altri – o meglio, degli altri, vicini e lontani. Il bene comune cioè esige una logica “win-win”: devo essere convinto che sia possibile promuovere il mio bene INSIEME a quello degli altri, e non “al posto” di quello degli altri. Il bene generato dalla mia azione diventa così accessibile a me e al resto della collettività, e lascia frutti e relazioni permanenti. Se invece credo che il mio bene sia ottenibile solo diminuendo quello degli altri, costruirò una generazione di persone “ostili”, solo in concorrenza, e mai in collaborazione. Ed è una vita molto peggiore.

Ma il bene comune è custodito solo dalla politica?

In effetti nelle nostre società europee si chiede soprattutto alla politica di promuovere, generare e custodire il bene comune. In società più tradizionali (magari in una comunità di villaggio in ambito rurale) erano le stesse relazioni sociali a dover custodire e generare il bene comune, con legami di solidarietà e di cooperazione pre-esistenti al patto sociale definito dalla politica. In altre parole, ogni persona (o famiglia) generava il bene di tutto.

È un po’ quello che ricorda il famoso proverbio africano “per educare un bambino serve un intero villaggio”: il bene comune della vita di un nuovo membro della collettività doveva necessariamente essere custodito da tutti – o meglio, da ognuno. Oggi, in società complesse, la mediazione del sistema politico-pubblico è irrinunciabile; ma non può sostituire la responsabilità della cittadinanza attiva.

Francesco Belletti (al centro) ospite e relatore in occasione del 20° di Casa dei Cittadini

Possono essere rilevanti i “piccoli” Comuni in questa società globalizzata?

All’interno di questo ruolo forte della pubblica amministrazione rispetto al bene comune, i piccoli Comuni hanno in genere la grande opportunità – quasi un vantaggio competitivo, rispetto alle grandi città e ai sistemi nazionali - di essere in presa diretta con la realtà del territorio e con la vita quotidiana dei cittadini. Il che significa, anche, che l’assessore puoi incontrarlo per strada, al bar, e chiedergli direttamente qualcosa, eventualità che a Milano o Roma semplicemente non esiste. Insomma, il Comune piccolo ha il grande vantaggio delle relazioni corte, più calde, e può più facilmente investire su un “senso di comunità”.

Certo, nei Comuni piccoli molti problemi sono ben al di là della capacità di risposta della singola amministrazione comunale (basti pensare ai trasporti o alla tutela dell’ambiente), e quindi serve anche una sapiente strategia di dialogo con il territorio (i Comuni vicini) e con gli altri livelli della pubblica amministrazione (distretti, province, regione, stato centrale).

Il Bene comune richiama alcune parole chiave del dibattito contemporaneo: sussidiarietà, solidarietà, responsabilità. Quanto sono importanti?

Potremmo collegare questi concetti con questo percorso logico. In primo luogo per generare bene comune serve una responsabilità diffusa, che riguarda ogni cittadino. Per rendere questa responsabilità efficace servono istituzioni sussidiarie, che restituiscano cioè al cittadino spazi di autonomia e di titolarità.

Questa “libertà di azione responsabile” deve però ispirarsi a criteri solidaristici, per non lasciare indietro nessuno, soprattutto chi, per i più svariati motivi, non è in condizione di affrontare con successo le sfide della vita. Solo così si genera bene comune – cioè per tutti.

Di quale famiglia necessità la nostra società per costruire più bene comune?

Parlare di cittadinanza attiva o di responsabilità dei cittadini significa anche non dimenticare che la vita delle persone si costruisce dentro le relazioni familiari, non in progetti di singoli individui, privi di legami. Le scelte economiche di un lavoratore o di una lavoratrice saranno ben diverse in presenza di figli, o se si vive da soli. Così come l’orientamento al risparmio cambia significativamente, se ci sono generazioni future ai cui consegnare qualche opportunità in più per gli anni a venire, anche sacrificando il proprio livello di consumo presente.

Foto di famiglia realizzata da Simone Durante

Inoltre, la famiglia vive di una promessa di impegno reciproco di cura, che genera una “microfibra di solidarietà e di relazioni sociali” che nessuna società o nessun intervento statale potrebbe mai sostituire – né in quantità, né tantomeno in qualità. Serve però una famiglia aperta agli altri, capace di generare relazioni solidali e impegno sociale.

E la famiglia di oggi quanto corrisponde a questa dinamica?

Gli ultimi decenni sono stati davvero complicati per la famiglia in Italia al punto che il rapporto CISF 2020 parlava di una “società post-familiare”, di un contesto cioè in cui le persone e la società pensano di poter fare a meno della famiglia. Le persone cercano la propria felicità ed autorealizzazione nell’assenza di legami e di impegni nel tempo, per avere la libertà di scegliere in ogni momento una possibile diversa opzione di vita.

Così, dalla famiglia come “roccia solida” si è passati ai legami liquidi, fino a rischiare l’evaporazione delle relazioni familiari. Sempre nel 2020 parlavamo di family global warming, una sorta di riscaldamento globale della famiglia che rischia di renderla volatile come un gas.

Eppure ancora milioni di famiglie resistono, anche nel nostro Paese. A mio parere, quindi, la sfida di una famiglia davvero generativa di bene comune si può ancora vincere.

Locandina della mostra itinerante WE, HOME, realizzata dal CISF in occasione del proprio 50°

Eppure il racconto pubblico sulla famiglia non appare così ottimista: da dove viene invece questa possibilità di una famiglia “generativa”?

Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: mi baso su 50 anni di storia del Cisf (1974- 2024), in cui abbiamo analizzato, studiato, incontrato la famiglia nella società italiana, e sempre abbiamo incontrato un mondo ricco di speranza, di generatività, di impegno verso la vita e verso gli altri.

Così, per spiegarmi, potremmo commentare i dati sulla natalità in Italia non solo dicendo che nel 2023 sono nati 10.000 bambini in meno rispetto al 2022 (che è comunque vero e drammatico), ma anche ricordando che comunque, nel 2023, oltre 373mila coppie di giovani uomini e donne nel nostro Paese hanno avuto il coraggio di mettere al mondo un figlio, testimoniando una fiducia nel futuro che diventa anche una richiesta forte al contesto sociale, all’economia, e alla politica. Perché anche le nuove generazioni sono parte integrante del bene comune del nostro Paese.

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