W i papà!
Psicologia e sociologia ci dicono che è fondamentale recuperare e valorizzare la figura paterna oggi in crisi.

Capofamiglia o “padre evaporato”?
Non sono né psicologo, né sociologo, non sono quindi un “addetto ai lavori” per parlare della crisi del ruolo paterno. Inoltre, so benissimo che non appena si affronta questo tema ne esplode istantaneamente un altro: quello inerente la Famiglia o le famiglie, come si usa dire oggi.
Perciò chiedo preventivamente scusa per la grossolanità del mio pensiero su questo tema da specialisti; credo però che la società da un lato, e la psicologia dall’altro, negli anni ’60, ’70 abbiano combinato un bel po’ di pasticci demonizzando i tradizionali ruoli di Madre e Padre anziché proporne la valorizzazione degli aspetti positivi e la necessaria correzione di quelli negativi.
Come spesso accade con le rivoluzioni e gli stravolgimenti, insieme all’acqua sporca si è buttato pure il bambino.
I pasticci di quel ventennio, a mio modesto parere, sono penetrati molto in profondità un po’ in tutti gli ambienti, ed anche e soprattutto nel mondo della scuola che di tutto questo sfasciume non si è ancora liberata.

Non c’è dubbio: il padre “capofamiglia” che si occupava di garantire le regole e il mantenimento alla propria famiglia, ha perso la sua centralità, per lasciare spazio ad una paternità smarrita, assente, senza spessore, che ha abdicato, consapevolmente o meno, anche e soprattutto al proprio ruolo educativo e formativo nei confronti dei figli.
Che il mondo di oggi abbia preso questa direzione è un dato di fatto, e va ricordato che ci sono anche segnali positivi legati alla condivisione, almeno parziale, di alcune attività domestiche e di cura tra mamma e papà. Quel che è certo però è che c’è un bisogno estremo di buoni papà e che quindi è fondamentale recuperare e valorizzare la figura paterna.
Genitore 1, Genitore 2, Coniuge 1, Coniuge 2, ma dai, è uno scherzo!
Potrò fare la magra figura dell’incompetente, ma questo rischio me lo prendo tranquillamente perché ho raggiunto le sette decadi di vita vissuta, perché sono figlio di una mamma e un papà semplicemente fantastici, perché sono fratello di fratelli speciali, perché da 41 anni sono marito convinto (e non coniuge 1, o 2, come vorrebbe l’UE), perché sono papà fiero e perché sono nonno orgoglioso!
L’Unione Europea, che già ci aveva provato nel 2021 ad eliminare l’espressione Buon Natale dai documenti ufficiali con la dicitura più inclusiva “buone feste d’inverno”, ora sta tornando alla carica con il tentativo di cancellare le parole marito e moglie per sostituirle con il generico coniuge, di non fare riferimento ai pronomi di persona maschile he (lui) e she (lei) proponendo di usare il plurale they (loro), di censurare tutte le espressioni che richiamano al maschile (es. mankind [umanità]), ed altre assurdità di questa natura.
La Commissione Europea cioè sta cercando di far approvare una vera e propria direttiva che imporrà a legislatori, funzionari e traduttori una neo lingua che mortifica la nostra storia e la nostra cultura.
Il dato è che al danno prodotto dalle esagerazioni degli anni ’60-’70, oggi si sommano prepotentemente le imposizioni della società modernista dei diritti a tutto e a tutti indistintamente, e dalla forzata eliminazione delle differenze di ogni natura provocando un appiattimento generalizzato e l’eliminazione delle identità, in nome del buonismo e del “politicamente corretto”.
19 marzo San Giuseppe: Festa del papà!
Data la vicina ricorrenza del 19 marzo, sono andato a ripescare due articoli del 2023 che mi sento di sottoscrivere e che credo sia importante riprendere, perché rischiamo di non accorgerci che questa società ci sta portando via una parte fondamentale della storia di ciascuno di noi.

Il primo articolo è preso dalla rubrica “il caffè di Gramellini” pubblicato il 15 marzo 2023 su “Il Corriere della sera” [https://www.facebook.com/photo.php?fbid=767587238101107&set=pb.100045495132437.-2207520000&type=3&locale=it_IT]. In questo suo “caffè” Massimo Gramellini ci racconta di una Preside che ha “cancellato” la Festa del Papà per non discriminare i bambini privi di papà. In questa scelta appare il buonismo di chi pensa che la sofferenza di questi ultimi sia ben maggiore di quella dei bambini fortunati che il papà ce l’hanno e perdono semplicemente l’opportunità di trascorre un paio d’ore in classe con i propri Padri.
Nella scelta della Preside c’è l’odore stantio dell’ipocrisia di chi non vuole avere sulla coscienza la sofferenza del ricordare a questi bambini privi di papà che altri sono più fortunati di loro, come se loro potessero essersi dimenticati che i loro papà non ci sono.
Giustamente Gramellini evidenzia il fatto che “…, a forza di eliminare ogni cosa che possa anche solo lontanamente far soffrire qualcuno, si finisce per far soffrire un po’ tutti, e per non lasciare in piedi più nulla. Nessuna festa, opera d’arte, memoria storica. … Il mondo è cambiato, dice la preside di Viareggio. Ma non è una buona ragione per sterilizzarlo, trasformandolo in un non-luogo privo di spigoli e sapori”.
Il secondo articolo è di Mimmo Falco ed è stato pubblicato il giorno dopo “il caffè” del 16 marzo con il titolo “W i papà, ovunque siano. La festa non va cancellata” [https://www.ilroma.net/news/opinione-type/318533/w-i-papa-ovunque-siano-la-festa-non-va-cancellata.html].
In questo articolo Falco riferisce e condivide le conclusioni di Gramellini partendo dalla sua esperienza personale e dal suo attaccamento al valore stesso delle parole ed in particolare della parola “papà”: “… Papà è la parola che porto nel mio cuore, come simbolo, come speranza, come gioia. Forse perché non ho avuto modo di pronunciarla durante la mia infanzia (mio padre morì quando avevo sei anni), eppure essa mi fa compagnia tutti i giorni, mi rende felice, mi fa sentire orgoglioso.”.

Bella e consolante è poi l’immagine che Falco ha dei suoi ricordi del mondo della scuola di allora: “… Quando frequentavo le scuole elementari, medie, e liceo, in occasione delle feste natalizie o pasquali, prima le maestre e poi gli insegnanti, si preoccupavano di non far pesare a noi ragazzi l'assenza della mamma o del papà, o addirittura di tutti e due genitori. La scuola diventava famiglia era padre e madre, pronta ad accoglierci tra le sue braccia.”. E state certi che di scuole così e di insegnati così, fortunatamente, ce ne sono anche oggi!
Concludo con la chiusura di Mimmo Falco che faccio mia e che spero che chi leggerà questo articolo faccia propria: “… sono trascorsi moltissimi anni dalla scomparsa di mio padre, ed oggi che sono nonno, … ribadisco la mia volontà di onorare la festa del papà, lui non è stato mai presente fisicamente, semplicemente perché è diventato invisibile, ma è rimasto sempre accanto a me: W i papà ovunque siano.”.